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*

~g ~

~A~~~~~

tinico c.on6dente.

To

a do di voglia da

lung~

tempo in qua di vedere quella Commedia ir1

'reatro, ma no

11

voglio, che

elfa

vi vada fotto

il nome mio. ( Celicur agghiaccio di fpavento

a quelle parole •) Non ho voluto atlidarmi a

chiccheffia; ma finalmente credo d=gnt>

''º¡

di

quello contralfegno del!' amiciza mia : darete

l' opera mia per vollra , io non voglio !alero ,

che J' interno dilecto della riufclta , e ne la–

ício

l'

onore, e

la

gloria a voi. L' i¡lea folad'

ingaanare il pubblico farcbbe llata bailante a

1bigottire il giovane ; ma quella del vedcrla

comparire fulla Scena, e cadere fotto il nome

fuo un' opera cosl mcfchin• , gliene accrefce–

va il ri brezzo • Confufo dalla propolla , lun–

go tempo fi difcfe ma vana

fu

la

refillenza .

Dappoiclie, di<fe' il Fintac, il fegreto

e

comu–

nicato ,

v"

obblig•

l'

ouore ad accordarmi quel–

lo' chi vi domando. TantG

e

al pubblico. che

la Commedia fia mia , quanto vollra ; quella

e

unº cfficiofa b11gia , non pul> nuoccre ;ad

a!Cll-

110.

La mía Commedia

e

facolca mia ,

1~

do–

no a Yoi ; e

b

pol\erid. anche da noi piu lon–

tana non ne fapra nulla mai : cosl la delicatez–

Z&

vollra

11011

e

tocca da veruna parte . Se do–

po tutto quello ricufate ancora di dare quella

opera come vollra , crcdero , che la llimiate

trilla, e che lodandomi utº abbiace ingannato

,

iicche liare ugu•lmente i11degno dellº amicizia

mia , e della llima. A che non li farebbe rifo–

luto l' amante d' A,ata piuttollo, che incorrere

nell' odio dello Zi<> dí lei. Lº a.tlicuro , che ne

lo ritenevano folamen te buone, e lodevol'i ca–

gioni , e gli domando ventiquatr' ore di tempO'

pu