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Duranzoae di

ven

ne pallido,

íi

turbo tutto •

fpari via,

Jafcio

Melidoro <:onfufo,

immo~

bile

fra

la collera , e la marav iglia.

Voi amico mio, diffe ./\celia ,

rafficara,–

tevi • prendo fopra di me l' obbligo di

far

difgregare quefto nembo. AdClio. Stafera ci

far?! bonaccia.

Va ella al Notajo, s' obbliga ,

rfc:eve

~

du~cento

mila Scudi, paga

i

debiti , lacera

le carte, cominciando dal Duranzone, che

con giudizio, e prudenza

s'

era fententiatd.

da

sé.

Di

111.

monta in Pofie_,

e

fenta

inO:

dugio va a corte.

'

Non le nego il Miniftro

fa

fua ma·fa con–

cenrezza, ne la prefa rifoluziorre d'obbJi·gar

Melidoro a vendere la carica •

lo

non io.

tendo, di f<S' ella, di fcu ftrlo: il lu!fo nella

nofira condizione

e

una pazzia, lo

fo;

ma

tal

pazzia e mia piunofio clíe

de"I

mariro ,

L'

un ico fuo errore

e

la compiacenza , e

,

oh

Signor mio , cho non

fi

fa

per una mo.

glie, ;¡l la

q

~ale'

li

porti amore

!

lo

era gio,

vaoe, agli occl?i luoi bella ;

il

mariro mio

prefe piuttofio conliglio da' miéi deliderii

~

che

·da' modi ch' egli

avea : non ebbe alero

fimore ,

ne

altra difgrazia conobbe ,

che

quella del farmi difpiacere ; ecco qua!

fu

Ja fua imprudenu; a quefta

s'

e

pofto rL

I'ª~º:

ora egli non

e

d' altro debitore ,

cqe

della mia

do~c

; ed

io

gliene

fo

un facri&•

zio . .

·